Il diario di Serena Key - capitolo 2
Mercoledì 25 novembre 2015
Come single me ne succedono davvero di tutti i colori. Alcuni uomini, quando capiscono che una donna è sola, immaginano un territorio facile di conquista e si sentono quasi in dovere di provarci. Sono i cosiddetti don Giovanni, più o meno consapevoli del ruolo che interpretano e quasi sempre noncuranti dello stereotipo che incarnano.I moderni don Giovanni non sempre meritano l'appellativo letterario che gli viene affibbiato. La storia del don Giovanni è la storia di un uomo che sfida l’al di là per affermare la coerenza delle sue scelte libertine. Fino in fondo, fino alla fine: il don Giovanni, nell’interpretazione mozartiana, finisce proprio sprofondando negli inferi, fra i demoni che lo afferrano per portarlo al suo inevitabile destino, secondo la morale bacchettona dell’epoca. Il don Giovanni è un filosofo, il filosofo del piacere come unico motore della vita. In tutta l'opera non fa che affermare la propria volontà di piacere, incurante delle conseguenze delle sue azioni sugli altri.
IL DON GIOVANNI
Bari, venerdì 20 novembre 2015
Ebbene sì, amo Mozart, e amo particolarmente il don Giovanni. Come potrei dunque non apprezzare le sue declinazioni nella vita reale, con il lato umoristico che sempre le caratterizza?
Come riconosco un don Giovanni? Dalle sue tecniche di conquista ovviamente. Quando vede una donna che vuole conquistare, il vero don Giovanni non lascia niente al caso ma apparecchia minuziosamente la situazione, mettendo in atto un campionario fantasioso di tecniche che lui stesso ha collaudato centinaia di volte. E solitamente il gioco gli riesce, nel senso che riesce almeno ad agganciare la preda; se poi non riesce ad arrivare sino in fondo, non si dispera, perché sa benissimo che si tratta di un evento probabilistico: se su dieci donne ne cadesse anche soltanto una, gli basterebbe soltanto aumentare l'ampiezza del campione. Per averne una al giorno, gli basta fermarne settanta a settimana. E infatti i veri don Giovanni sono sempre molto impegnati, perché il loro sport richiede tempo, pratica e molta dedizione.
Il don Giovanni può albergare nell’animo degli uomini più impensabili. Egli non ha ceto, né mestiere. Lo puoi trovare in un imprenditore come in un idraulico, in un riccone come in un precario. Ciò che lo caratterizza non sono i mezzi a sua disposizione quanto la determinazione di ottenere i favori della donna che ha adocchiato.
Il mondo è pieno di don Giovanni. Soltanto nel mio tour di Bari, questa settimana, ne ho incontrati almeno tre, uno dei quali meritava di comparire nel mio diario.
Passeggiavo sola soletta per il centro di Bari, una città che amo particolarmente, con il solo scopo di fare due passi. Mentre camminavo, guardando distrattamente le vetrine dei negozi e gustando l'atmosfera affascinante di quei luoghi, sento improvvisamente una voce davanti a me chiamare Genoveffa. Mi giro di scatto, perché la voce è talmente vicina che sembra essere rivolta a me. Vedo un uomo sulla quarantina che mi fissa sorridendomi.
"Genoveffa, come stai"?
Mi volto, per vedere se ho un'altra donna alle spalle ma non c'è nessuno vicino a noi, ad eccezione di una coppia di vecchietti che camminano lentamente a braccetto.
"Ma come non mi riconosci? Sono Ivo. Capisco che è passato del tempo ma non credevo di averti colpito così poco da essere cancellato dalla tua memoria", mi dice terminando la frase con un sorriso piuttosto simpatico.
"Io non sono Genoveffa", gli rispondo, con un tono fra il seccato e il divertito, "e non ti ho dimenticato, perché non ti ho mai neanche conosciuto".
"Incredibile", mi fa lui dopo qualche secondo di silenzio, con un'espressione sinceramente stupita. "Siete due gocce d'acqua... Quindi tu non sei mai stata alla Pitti Immagini Filati per assortire il campionario"?
"Non so di cosa parli ma del resto, non essendo Genoveffa... Non vedo come potrei".
Mi veniva un po' da ridere nel pronunciare questo nome d'altri tempi; pensavo se i miei genitori fossero stati mai capaci di infliggermi inconsapevolmente una simile condanna a vita.
"Devi scusarmi ma davvero vi somigliate moltissimo. Praticamente hai una sosia". E mi sorride ancora, mostrando una certa sicurezza di sé nel mantenere a lungo il sorriso.
"Non so se esserne felice... Potrebbe combinare lei qualcosa ed io prenderne la colpa, per esempio".
"Ma Genoveffa non è una tipa pericolosa: è una figurinista che lavora per una ditta di pronto moda qui a Bari; è una persona molto ammirata. Ed è anche molto carina". Ivo parla lentamente e scandisce le parole con i sorrisi.
È un tipo decisamente simpatico, e quasi vorrei credere che davvero esista una Genoveffa figurinista, e che si tratti realmente di uno scambio di persona e non di un trucco.
"Allora è lei quella che deve temere il sosia", gli rispondo in automatico, fingendo di stare al suo gioco. Mi fido del mio istinto ma non posso avere la certezza di avere di fronte un don Giovanni. Sarebbe anche peccare di superbia: so di essere considerata una bella donna ma non ho mai creduto di avere il mondo ai miei piedi per questo unico tratto.
Lui si illumina, forse perché ha visto la sua preda cadere con un piede nella trappola.
"Dunque sei tu ad essere pericolosa", rilancia lui. Ma non mi lascia tempo di rispondere perché subito mi tende la mano e si presenta con nome e cognome.
Gliela stringo, replicando con il solo nome, ovviamente quello d'arte.
Dopo avermi detto la sua professione, Ivo (non scrivo qui il suo vero nome, perché si racconta il peccato ma non il peccatore) mi dice di essere un amante dell'arte contemporanea, della quale comincia subito a discorrere.
Non è noioso, anche perché s’interrompe molto presto.
"Ti prego di farmi perdonare l'equivoco offrendoti qualcosa in quel caffé". E mi indica il grazioso caffè sull'altro lato della strada.
"OK, vada per un caffè". Ho già deciso: starò al suo gioco, per dimostrare a me stessa la bontà del mio istinto, oppure per imparare qualcosa di buono sulla natura umana.
Entriamo nel locale e ordiniamo due caffè. Mi dice di avere un locale arredato con le opere d'arte che ha acquistato per diversificare i suoi investimenti, una specie di galleria a pochi passi dal posto in cui ci troviamo. Mi parla delle opere e della loro storia, di come le ha acquisite e di quanto gli hanno reso. Il concetto di plusvalenza, come lo racconta lui, non è poi così noioso. Ho davanti a me un abile oratore che, fra sorrisi e movimenti di sopracciglia, mi propone di vedere la sua collezione; un onore che riserva a pochi, a suo dire.
Accetto. Ivo si dice lusingato. Paghiamo i caffè e usciamo, camminando in direzione della galleria.
Lui è molto educato: mi lascia il passo e si para sempre sul lato della strada.
Dopo qualche domanda sui miei gusti musicali e un apprezzamento spassionato sul mio sguardo, penetrante come quello di Genoveffa, arriviamo davanti ad un vecchio portone di legno, dove lui si ferma.
"Siamo arrivati. Te l'ho detto che era a due passi". Infila le chiavi ed apre il portone, invitandomi ad entrare. L'interno del palazzo è incantevole nella sua trascuratezza. Le volte del soffitto sono evidenziate dai chiaro-scuri creati dalla polvere. Passiamo un magnifico ascensore a vista, di fianco alle ripide scale, e imbocchiamo un corridoietto che ci porta a un piccolo cortile interno, con un paio di salici e delle aiuole a creare due corridoi.
Ivo apre un portone ed entriamo in un altro atrio, facciamo una mezza rampa a scendere e, dopo aver aperto l'ennesima porta, ci troviamo finalmente all'interno della sua galleria personale.
Il posto è bellissimo: un seminterrato multilivello illuminato da luce naturale soffusa, con un'atmosfera senza tempo.
L'ambiente è un grosso loft diviso idealmente in due da un imponente separè di legno grezzo, a cui sono appesi grappoli di faretti che puntano i quadri appesi nelle pareti circostanti. Ci sono parecchie tele, due molto grandi, e una scultura di bronzo rappresentante qualcosa di indecifrabile. Sullo spazio alla mia destra c'è una grossa scrivania con molte sedie attorno mentre alla mia destra un bel divano verde, non so se antico ma sicuramente molto vecchio, con un tavolo basso davanti e due poltrone ai lati."È qui che tengo le mie opere".
"Ma non hai paura a mostrarmi questo posto"?
"No. È ben allarmato, e poi una Genoveffa non può essere così disonesta da derubarmi. Vedi Serena, il bello dell'investire in opere d'arte è proprio la soddisfazione estetica che deriva dalla loro fruizione. Soltanto io e te possiamo ammirare questi quadri. È come se l'artista li avesse dipinti soltanto per noi".
E in effetti quei quadri fanno la loro impressione. Grazie alla luce radente, posso vedere le pennellate di olio sulle tele, e i colori scomporsi nella loro stesura.
Mentre guardo le opere, Ivo mi dice i titoli e mi svela il mondo che rappresentano, evidentemente fiero di partecipare alla grandezza di quegli artisti come un moderno mecenate.
A un certo punto la sua voce si fa più suadente e musicale. Il ritmo è sempre più lento e il tono più basso. Mi volto e lo vedo fissarmi il seno dall'alto del suo punto di vista.
"È un bel vedere! La bellezza della vita oscura sempre quella di una sua rappresentazione". Mentre mi parla, mi cinge un fianco e si china verso di me, finendo di sussurrare la frase sulla mia bocca.
Io non ricambio il bacio e mi scosto di un centimetro.
"Sei un temerario, ma io non sono Genoveffa".
"Tu sei Genoveffa, Maria, Cristina, Laura, Carla. Tu sei Donna. E sei bella, terribilmente bella". E si richina sulla mia bocca facendo un secondo tentativo, anche questo senza successo.
"Io sono soltanto una donna sposata con un marito che non merita questo". Sì, ho deciso di divertirmi. Voglio anch?io recitare una parte, e quella della sposina tentata è perfetta, perché il don Giovanni ama la competizione. Non si diverte se non deve lottare un po'. Sicché mi fingo sinceramente trasportata ma titubante.
"Ho un marito che mi adora e non mi fa mancare niente. Non posso tradirlo per il capriccio di un momento". Ce la metto tutta per essere credibile, anche se mi viene da ridere ad ogni parola che pronuncio.
"Che dici? Tradiresti l'attimo, se non lo consumassi".
"Credi di conquistarmi facendo il poeta"?
"Io non credo. Spero. E tu puoi infrangere il mio sogno con una parola sola".
Il mio don Giovanni si sta impegnando a fondo. Quasi quasi mi arrendo e lo faccio vincere.
"Serena, io ti voglio". E si rituffa sulla mia bocca, che stavolta accoglie la sua.
Il nostro bacio dura qualche istante, dopodiché si solleva, mi fissa un attimo e poi si inginocchia, sbottonandomi i jeans mentre mi bacia l'ombelico.
"Ti voglio, Serena. Voglio il tuo corpo. Voglio il tuo piacere".
"E lo avrai. Ma dovrai essere all'altezza dell'uomo che sto tradendo per te"!
"Non mi spaventi", mi dice lui con il fuoco negli occhi, "Scalerei qualsiasi vetta a mani nude per averti". E continua a spogliarmi, baciandomi le gambe e i piedi mentre mi sfila i pantaloni. "Voleremo assieme, sulle ali del piacere".
Poi si alza e si sfila velocemente i suoi indumenti, mostrandomi subito il più genuino segno d'apprezzamento che un uomo può offrire a una donna, un membro duro già pronto alla battaglia.
Mi prende per mano e mi conduce al divanetto, dove mi fa sdraiare. Lui è in piedi davanti a me che mi fissa, con il suo arnese all'altezza dei miei occhi e le mani sui fianchi.
"Fatti guardare. Sembri un dipinto. La bellezza, il motore del mondo".
Così dicendo, mi poggia una mano sulla mia testa, avvicinando ancora la sua arma.
"Altolà! Non è così che farebbe mio marito. Lui si preoccuperebbe di me, prima che di lui". Mi sprofondo sul divano e allargo le gambe, mettendo anch'io le mani sui fianchi.
"Furbetta! Sarai accontentata".
Adesso sono io che ho le mani sulla sua testa, mentre lui è in ginocchio a leccare la mia gattina, che fa le fusa riconoscente al suo instancabile adoratore. Sono io a chiedergli di fermarsi, perché ho paura di arrivare alla meta prima ancora di partire. Lo afferro per i capelli e lo stacco dall'oggetto del suo desiderio. Comincia a baciarmi i seni, poi la bocca, gli occhi, i capelli. Il suo pene carezza nervoso il mio corpo in cerca di un ingresso. Tiro su le gambe, poggiando i piedi sul suo petto. Vedo che ha già infilato il profilattico e mi domando quando lo ha fatto, visto che non me ne sono neanche accorta ma non me ne meraviglio più di tanto, perché quello che ho davanti è un don Giovanni.
"Prendimi, ora". Lo imploro languida.
Non fa in tempo a rispondermi con un "sì" appena sussurrato, che già è dentro di me, muovendosi al ritmo del piacere.
Il divano si sposta di qualche centimetro ad ogni colpo, fino a toccare la parete.
Ivo ride del nostro percorso e si riassesta ogni volta sulla nuova posizione.
Lo respingo da me allungando le gambe con forza e riesco a farlo uscire, poi lo fisso e gli sorrido, mentre mi alzo e mi inginocchio sul divano, poggiando i gomiti su un bracciolo.
"Fammi sentire un giocattolo. Il tuo giocattolo... Prendimi da dietro".
Lui è eccitatissimo. Le sue mani disegnano i miei glutei con le dita. Li bacia avidamente. Con la lingua, percorre la mia schiena bagnandola.
"Il tuo culo è un sole: voglio squagliarmi col suo calore. Non resisto più". E s’inginocchia anche lui dietro di me, continuando a carezzarmi con il suo pene. Finalmente infila la spada nel mio fodero e comincia a spingere con un movimento semicircolare dal basso in alto. Il mio condottiero ci sa fare, ed io lo lascio fare. Mi accascio sotto i suoi colpi mentre esploro con le palpebre a metà le opere d'arte che mi circondano. Quasi mi sembra di capire la scultura di bronzo, che probabilmente rappresenta un amplesso tra due corpi geometrici.
Sento il suo respiro diventare sempre più corto. Allora mi alzo sulle ginocchia e mi sottraggo alla sua presa.
"Mio marito mi guarda sempre negli occhi, mentre raggiunge il piacere".
Ivo sorride, mostrando la sua arma di conquista: la simpatia.
"Tutto quello che vuoi. Tu sei la mia musa".
Si alza anche lui e si rimette in ginocchio per terra, mentre io mi riaccomodo seduta di fronte a lui ma non faccio in tempo a poggiare il sedere sul cuscino che mi prende per le caviglie, mi solleva le gambe e mi penetra con vigore.
Riprende la danza. Ci muoviamo assieme sullo stesso ritmo per una manciata di secondi.
Lo guardo. Ivo è sudato e ha gli occhi semichiusi. Sta per arrivare alla meta. Mi afferra un piede e lo porta alla bocca, piegando il capo all'indietro.
Ha un fremito. Si blocca un istante e poi riprende a baciarmi il piede, la caviglia, il polpaccio, mentre con le mani massaggia avidamente i muscoli delle mie gambe. Mi sorride beato, con lo sguardo un po' ebete di chi è appena venuto.
Lo seguo a ruota anch'io, rapita da tanta adorazione. Lo cingo con le gambe in un abbraccio da mantide e lo raggiungo nel suo paradiso.
"Ci rivedremo domani"? Mi chiede candidamente.
"Domani lo saprai".
Dopo avergli negato almeno tre volte il mio numero di telefono, ci rivestiamo e percorriamo al contrario tutti i corridoi che ci separano dalla strada. Esco per prima. Ivo mi segue ma s'arresta sull'uscio, fissando qualcosa oltre me. Mi volto ma non noto niente di particolare. Quando mi rigiro, lui è tornato dentro il portone.
"Ho dimenticato il telefono, e ne approfitto per cercare un documento che avrei dovuto prendere con me. Ti aspetterò qui domani, a questa stessa ora. Ciao, meraviglia, a domani".
Lo saluto un po' incuriosita da quella strana reazione e me ne vado lentamente, mentre sento il portone chiudersi cigolando alle mie spalle.
All'angolo del palazzo mi fermo a rispondere al telefono: è una mia amica che vuole che vada a farmi una vacanza assieme a lei, perché è stata appena mollata dal ragazzo e ha bisogno di svagarsi un attimo. Odio camminare parlando al telefono, così rimango ferma due, tre minuti, davanti a una vetrina, per il tempo della conversazione.
Dopo aver chiuso e infilato il telefono nella borsetta, rialzo lo sguardo e vedo Ivo dall'altra parte della strada camminare assieme a una donna, che tiene sottobraccio con una mano mentre con l'altra spinge un passeggino. Le sorride amorevole e la guarda. Seguo un po' quella coppia con lo sguardo e, prima di perderli all'orizzonte, vedo Ivo girare il capo per guardare le natiche di una ragazza che gli passa a fianco.
Rimango di sasso a guardarli. Un don Giovanni è un don Giovanni e al proprio destino non si sfugge.
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Data della richiesta: 28/11/2015 15:43:11
Commento:
Racconti coinvolgenti.... Sembra Alberto Moravia al femminile... Verità o fantasia..? Giuseppe lecce
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Data della richiesta: 28/11/2015 13:44:34
Commento:
Mia dolce e sensualissima Serena Key,non sono Ivo,e so benissimo chi sei tu,ma avrei voluto essere io al suo posto; non solo mi stupisce che tutto sia accaduto a Bari, perché ogni qual vota che sei dalle mie parti sei sempre irraggiungibile, dovuto ai tuoi mille appuntamenti,e ogni qual vota che mi decido a chiamarti sono sempre in ritardo e mi tocca aspettare il tuo prossimo tour dalle mie parti!! Pensarti mi lascia senza fiato,quindi vorrei respirare incontrandoti. Un Bacio Enzo
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